Apri il bocciolo e lascia risplendere la meraviglia.

“Prof!! Oggi si inizia il processo di scrittura? Oggi finalmente iniziamo le brutte della poesia sul block notes?”

” Sì e no.  Sì: iniziamo a scrivere. No: il processo di scrittura l’abbiamo già iniziato qualche giorno fa; non comincia dalla brutta. E non si chiama brutta, ragazzi, si chiama bozza; diamole una dignità letteraria, per favore.”

“Prof, io non ho capito. Se non iniziamo la brutt… bozza che si fa oggi? Ma comunque io non so come iniziare, non mi viene niente! Ho riletto il mio lampo ma non mi piace e non c’è niente di poetico dentro!”

L’entusiasmo che avvolge la genesi del primo pezzo, del primo anno alle medie, del primo anno di familiarizzazione con il WRW, ha tanti sapori: adrenalina, paura, curiosità, stupore, incertezza, coraggio, titubanza, sfida … É tutto nuovo per i primini e anche se non lo è davvero, anche se alla primaria avevano fraternizzato con il processo di scrittura, il solo fatto di essere in un contesto differente, con nuovi insegnanti, nuovi compagni, nuovi panorami fuori dalla finestra, rende ai loro occhi QUELLA pagina di taccuino ancora intonsa un trampolino di lancio verso l’ignoto.

Affrontare l’ignoto di un nuovo pezzo – senza nemmeno una traccia a cui appigliarsi e da incolpare in caso di brutto voto “perchè non mi ispirava e non sapevo che dì” – non è semplice per nessuno. Per superare il nulla cosmico che annebbia una mente ansiosa davanti al foglio bianco, nel WRW proponiamo ai ragazzi degli attivatori: serbatoi di semi di scrittura a cui attingere anche più volte nel corso di uno stesso anno scolastico.

Ma non basta.

Come passare da un attivatore alla bozza? Dal seme al fiore?

Con le ultime prime il passaggio era stato più immediato ed un semplice lampo di scrittura era bastato per dare il via alle prime poesie dell’anno. Quest’anno, invece, la titubanza dei ragazzi mi ha obbligata a rallentare e a sostare a lungo su uno degli aspetti più cruciali del processo di scrittura: la prescrittura.

Non sto a raccontarvi per filo e per segno tutti i passaggi del percorso; ancora non abbiamo terminato e, a dirla tutta, alcuni proprio questa mattina stavano revisionando le loro bozze mettendo in pratica strategie che avrebbero fatto molto più comodo in prescrittura.

Quella su cui oggi voglio soffermarmi è una ML che ho pensato prendendo spunto dalle “6 stanze” di Georgia Heard (in Awakening the Heart)  e che mi è stata utilissima per lavorare sul potere dell’io e sulla voce dello scrittore.

Ecco il cuore della lezione: l’insegnamento chiave.

In ogni poesia si deve sentire la nostra voce, devono emergere le nostre emozioni, deve spiccare il nostro io. Noi componiamo la poesia, noi siamo i poeti; il lettore deve sentire – vedere – provare – toccare – respirare quello che noi sentiamo, vediamo, proviamo, tocchiamo, respiriamo.

Una strategia molto efficace per far uscire il nostro io dal guscio è “aprire il bocciolo”. Il bocciolo è il nostro lampo di scrittura: poche righe che, al loro interno, custodiscono meraviglia.  Come aprirlo? Concentrandoci su ciò che vogliamo scrivere, su ciò a cui abbiamo accennato nel lampo di scrittura, ed isolare un momento, un frammento di tempo. Quindi pensare su carta; non allo scopo di rallentare il ritmo e raccontare un evento ma con l’intento di far emergere i dettagli.  Ma in pratica?  Seguendo, ad esempio, una scaletta di questo tipo:

  • se chiudo gli occhi e mi concentro vedo…
  • la luce del giorno/della notte rende tutto…
  • i suoni che ho dentro e intorno …
  • mi chiedo…
  • ripensando a quel momento mi sento…

Prima di lanciare il coinvolgimento attivo ho fatto modeling: sia leggendo il mio lampo di scrittura (avevo scelto, dal mio attivatore “le dita macchiate del blu dei mirtilli”), sia mostrando ai ragazzi come si presentava il mio bocciolo una volta aperto.

Quindi li ho messi al lavoro. Tutti a maneggiare  i loro boccioli con la grazia e la delicatezza dei bravi giardinieri.  A. L., nel suo “lampo” aveva scritto:

Voglio scrivere di quando ho tirato su il pallone da dentro la rete degli avversari. Avevamo preso un goal, io andai a prendere il pallone nella porta degli altri. Era fangoso e mi sporcai le mani. La mia squadra in quel momento stava perdendo e tutti eravamo tristi ma io pensai che non era ancora finita la partita. Andare a prendere il pallone mi fece sentire forte e fiero di me.

Ecco il suo bocciolo alla luce del sole:

 

Questo, invece, è il bocciolo di A.C.

L’aspetto interessante di questa strategia non è solo quello di rappresentare un volano per il potere dell’Io poetico, ma di essere sicuramente efficace anche in testi narrativi, autobiografici, espositivi, argomentativi…

Uno strumento utile e trasversale per la cassetta degli attrezzi dei miei piccoli, meravigliosi e meravigliati scrittori.

 

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